Non son tropicali ma mediterranei “veri” i barracuda che capita sempre più spesso d’incontrare in immersione nelle isole italiane. Ci sono da sempre: alle due specie, Sphyraena sphyraena e S. viridensis, che sono sempre vissute nelle nostre acque si è aggiunta, è vero, anche S. chrysotaenia, penetrata nel nostro mare attraverso il Canale di Suez, ma la sua presenza è limitata al bacino orientale del Mediterraneo. E non si tratta nemmeno di presenze nuove: il museo di Genova conserva un esemplare di S. viridensis pescato nel 1912, e addirittura Linneo, nel diciottesimo secolo, descrisse la specie S. sphyraena proprio da un esemplare catturato nel nostro mare. Dobbiamo però ai professori Relini dell’Università di Genova un po’ di chiarezza su questi animali, su cui gran parte dei libri di biologia marina italiani ha le idee un po’ confuse.
Grazie al lavoro di revisione intrapreso dai due studiosi, possiamo distinguere facilmente le due specie, simili per costituzione ma differenti d’aspetto. Il “luccio dei mare”, S. sphyraena, ha una colorazione grigio scura sul dorso e più chiara sul ventre, mentre il barracuda che più spesso capita d’incontrare in mare ha i fianchi solcati da evidenti bande scure: si tratta quindi di S. viridensis, una specie presente anche in Oceano Atlantico. Minuscole differenze, impercettibili a occhio nudo ma, sembra, inequivocabili agli specialisti (si parla di numero di scaglie presenti sulla linea laterale), separano i barracuda di questa specie pescati in Mediterraneo da quelli oceanici; tanto che essi potrebbero in realtà essere una sottospecie tipica ed esclusiva del nostro mare: S. viridensis mediterranea. La domanda che non trova risposta invece nelle pagine degli studiosi è il perché gli avvistamenti di barracuda nelle acque mediterranee si siano fatte sempre più frequenti e, soprattutto, estese a tutta la penisola. Escluso quindi il fenomeno di “tropicalizazione” del nostro mare, visto che i barracuda in Mediterraneo ci sono sempre stati, c’è chi imputa la loro presenza al riscaldamento delle acque del nostro mare, un fenomeno ormai indiscutibile e che sta mutando la carta di distribuzione di molti pesci. Qualcuno di voi ha un’altra spiegazione?
MA SON DAVVERO PERICOLOSI I BARRACUDA
Brutta e minacciosa, quella fila di dentoni, lo è di certo. Ma a tranquillizzare i più timorosi basta solo fare un po’ di conti di quanti sub e bagnanti si immergono quotidianamente in acque frequentate dai barracuda e il numero di attacchi che a tutt’oggi si contano sul dito di una mano. Come quello, tragico, che è costato la vita a una turista italiana in Messico. Pericolosi o no, dunque? Chiunque si sia trovato in immersione con questi pesci, nei mari tropicali come in quelli nostrani, può testimoniare che la ferocia del barracuda si limita al suo sorriso; per il resto, per quanto a volte decisamente curioso, si mantiene generalmente a una distanza di cauta sicurezza dall’uomo. I barracuda sono però attirati dai bagliori, che in mare corrispondono ai riflessi argentei dei pesci loro preda: per questo, soprattutto in caso di acqua torbida e scarsa visibilità, è bene evitare di indossare catenine, pendagli, medagliette e bracciali di metallo.
DOVE VEDERE I BARRACUDA IN ITALIA
Banchi di queti pesci hanno fatto la loro comparsa un po’ ovunque nelle acque italiane. In Sardegna è ormai “facile” (le virgolette sono d’obbligo considerando che si tratta pur sempre di pesci, non di animali che vivono fissi sul fondo) avvistarli nella zona di Tavolara (Centro Sub Tavolara, tel.0789-40360, e Scuola Sub Aquarius, tel.0784 834124) e sulle Secche di San Teodoro (Dive In Porto Ottiolu, tel.0784 846.448) e più a nord, nelle acque di Mortoriotto (Centro Sub Portorotondo, 0789-34.869). Ustica è tata forse la prima isola italiana a vantare banchi stanziali di barracuda (Diving World Ustica, tel. 091 844.9533 o 06 807.7469) e, sempre in Sicilia, Marettimo quest’estate ha offerto incontri emozionanti (Centro Sub Stella Marina, tel. 0923-923.144). Questi sono i luoghi dove abbiamo potuto osservarli in prima persona, ma le segnalazioni si sono moltiplicati lungo tutta la penisola e, soprattutto, le isole minori.